Stati vegetativi, nel 27% dei casi la diagnosi è imprecisa PDF Stampa E-mail

I risultati dello studio Vesta, promosso da Azienda USL di Bologna e 24 Ordini dei medici con la collaborazione del Centro Studi per la Ricerca sul Coma: negli stati di minima coscienza le misdiagnosi sono il 40%, osservati miglioramenti del livello di coscienza anche in chi è ritenuto in condizioni irreversibili. Sabato 10 ottobre un convegno a Bologna in occasione della “Giornata nazionale dei risvegli per la ricerca sul coma”

In Italia le diagnosi di stato vegetativo sono incongrue quasi 3 volte su 10. Per gli stati di minima coscienza le misdiagnosi (diagnosi imprecise) salgono a 4 su 10. Sono questi i risultati definitivi dello studio Vesta, il rapporto sugli stati vegetativi in Italia, promosso dalla Azienda USL di Bologna e dall’Ordine dei medici di Bologna assieme ad altri 23 Ordini dei medici. Il rapporto è stato presentato sabato 10 ottobre presso la sede dell’Ordine dei medici (via Zaccherini Alvisi 4) all’interno delle iniziative della diciassettesima “Giornata nazionale dei risvegli per la ricerca sul coma – Vale la pena” promossa dall’associazione Gli amici di Luca.

Lo studio, coordinato da Roberto Piperno, primario della Unità operativa di medicina riabilitativa e Neuroriabilitazione dell’ospedale Maggiore e della Casa dei risvegli Luca De Nigris dell’Azienda USL di Bologna, è iniziato nel 2010, e nel 2011 ha ricevuto l’approvazione del Ministero della Salute come progetto di ricerca finalizzata. Obiettivo principale del progetto è stato valutare l’incidenza delle diagnosi errate nel contesto clinico italiano, confrontandola con quella di altri Paesi europei: secondo alcuni studi (Andrews, 1996; Schnakers, 2009) in Europa le misdiagnosi si attestano per gli stati vegetativi intorno al 40%.

Per realizzare un’osservazione sistematica delle persone in stato vegetativo o di minima coscienza è stato costituito un network al quale hanno aderito 22 centri di 17 province italiane. I pazienti individuati sono stati 348, il 71% con diagnosi clinica di stato vegetativo, il 23% di stato di coscienza minima. Il 24% presentava un’eziologia traumatica, il 71% non traumatica, il 5% un’eziologia mista. Il 45% risiede al nord, il 27% al centro, il 27% a sud Italia. Il 38% è collocato in un’unità di riabilitazione, il 30% in strutture socio-assistenziali, il 16% in unità di lungodegenza medica, il 13% vive a domicilio.

Le diagnosi sono state verificate attraverso una valutazione neurocomportamentale strutturata, che permette di registrare il grado di responsività. Sono risultate incongrue il 27% delle diagnosi di stato vegetativo e il 40% delle diagnosi di stato di minima coscienza. Secondo Roberto Piperno “Un’osservazione clinica condotta secondo i migliori criteri clinici, nelle migliori condizioni e da medici con esperienza specifica, cambia la diagnosi di stato vegetativo in almeno un caso su quattro. È possibile che in questi casi si stabiliscano nuove opportunità di assistenza e di relazione”. Nello studio sono stati coinvolti anche i familiari: “Il 10% non accetta la diagnosi perché è convinta di avere ancora una possibilità di comunicare con il proprio familiare”.

Lo studio Vesta ha seguito, inoltre, l’evoluzione clinica di persone ritenute in condizioni di cronicità irreversibile. Nell’89% dei casi, la diagnosi relativa al livello di coscienza è rimasta stabile dopo 8 mesi dalla prima valutazione. Nel 5% dei casi, invece, il livello di coscienza è migliorato. “Anche modificazioni minori del comportamento e della relazione possono costituire un fattore di benessere complessivo per il nucleo familiare”, continua il professor Piperno. “Questi risultati – conclude Piperno - insieme al registro nazionale, hanno una ricaduta importante nella gestione dei percorsi e dei servizi sanitari socio-assistenziali per gli esiti di gravissime cerebrolesioni acquisite, con importanti aspetti etici e deontologici”.

 
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